AZIENDA

L’agenzia immobiliare DE LIBERATO R. E. s.a.s. è una società di intermediazione immobiliare con esperienza trentennale nel campo edilizio immobiliare.

La nostra Agenzia Immobiliare è supportata dai migliori professionisti in ambito notarile, legale, fiscale, commerciale ed ha un proprio studio tecnico interno per il disbrigo di tutte le pratiche tecnico-urbanistiche necessarie nelle transazioni immobiliari.

Abbiamo sviluppato importanti convenzioni con principali istituti bancari e consulenti finanziari per offrire un servizio di assistenza mutuo per acquisto di immobili

Offriamo un servizio completo ed affidabile a tutti coloro che vogliono vendere, comprare, locare o condurre un immobile.

Tutti gli  immobili proposti in vendita ed in locazione dalla nostra Agenzia Immobiliare sono selezionati accuratamente e provengono esclusivamente da proprietà serie ed affidabili.

I rigidi i criteri che contraddistinguono la nostra Agenzia Immobiliare, di massima competenza e professionalità sono i cardini per assicurarvi l’acquisto o la locazione di un immobile di alta qualità ed esente da ogni problematica.

La nostra agenzia assicura assistenza totale per ogni compravendita o locazione in tutte le fasi del rapporto: dalla visita per la scelta dell’immobile, alla trattativa, alla conclusione dell’accordo per l’acquisto o la locazione, fino al rogito notarile per il trasferimento legale del bene o al contratto di locazione.

 

Articoli informativi per l'acquisto

Documenti per acquistare casa

Per arrivare alla corretta compravendita di un immobile è necessario effettuare alcuni controlli ed acquisire una serie di documenti che assicurano all’acquirente la corretta esistenza e titolarità dell’immobile e non lo espongono a sanzioni amministrative (mancanza del certificato di agibilità) o addirittura penali (mancanza del permesso di costruire ovvero di concessione/licenza edilizia).

1. Titolo di proprietà e/o provenienza

La prima e più importante verifica da fare prima di sottoscrivere il contratto preliminare che, come meglio vedremo in seguito, obbliga all’acquisto dell’immobile, è quella di accertare che il promittente venditore sia il vero proprietario.
A tal fine bisogna controllare anzitutto se il soggetto che offre la vendita ha un valido atto di acquisto; se lui stesso ha comprato dal vero proprietario e così via fino a ricostruire la storia dell’immobile negli ultimi venti anni.
Poiché vi è un obbligo giuridico di trascrivere ogni compravendita, per verificare la titolarità dell’immobile basterà rivolgersi ai Servizi di pubblicità immobiliare degli uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio (ex Conservatoria dei Registri Immobiliari), e con il nome, data di nascita e codice fiscale del soggetto che interessa, richiedere una visura.
Con questa verifica si controlla oltre l’esatta proprietà dell’immobile anche il regime familiare del proprietario nonché l’eventuale presenza di ipoteche o servitù, ossia diritti che possono comprimere il godimento o l’utilizzo della casa ( ad esempio il diritto di passaggio nel giardino ) o eventuali trascrizioni pregiudizievoli ( che possono cioè pregiudicare i diritti dell’acquirente).
Si ricorda al riguardo che l’ipoteca segue l’immobile e non chi l’ha accesa, quindi continua a gravare sul bene anche in caso di passaggio di proprietà dello stesso.
La conseguenza è che se il creditore non viene saldato per una qualunque ragione, a pagarne le conseguenze non è il debitore ma chi ha acquistato la proprietà dell’immobile gravato da ipoteca. Il rischio è quello di un esecuzione (vendita forzata) immobiliare, per evitare la quale non resta all’acquirente che pagare il debito residuo.

Altra situazione a rischio è quella dell’acquisto di un immobile derivante da eredità o donazione.

Qualsiasi erede infatti, ritenendo lesa la propria quota di legittima, ha tempo dieci anni dal decesso di chi ha lasciato l’eredità o effettuato la donazione, per far valere i suoi diritti, chiedendo che il valore dell’appartamento venga considerato all’interno del cumulo ereditario ( così detta “azione di riduzione “). In tali situazioni l’acquirente potrebbe vedersi costretto a restituire l’immobile o a compensare in denaro gli eredi ricorrenti, salvo poi tentare di rifarsi contro chi glielo ha venduto. Quindi può capitare perfino che un immobile passi due volte di mano prima che l’azione di riduzione venga esercitata. In questi casi, data la complessità dell’analisi giuridica volta a verificare l’esistenza di eventuali diritti ereditari, si consiglia di rivolgersi ad un professionista prima di firmare qualunque preliminare d’acquisto.
Particolare attenzione va usata anche quando il venditore è coniugato in regime di comunione legale tra i coniugi e l’immobile è stato acquistato da lui mentre era già sposato.
In tal caso si presume, salvo prova contraria, che appartenga ad entrambi i coniugi anche quando uno solo dei due compare nel rogito del precedente acquisto.
Anche in questo caso una semplice visura presso l’Agenzia del territorio chiarirà la reale situazione e quindi se entrambi i coniugi dovranno sottoscrivere l’eventuale contratto di compravendita o solo il promittente venditore.
Comunque ove dalla visura risultino trascritti dati non indicati dal venditore conviene chiarire immediatamente la situazione con la controparte.

2. Aspetti urbanistici

Accade più frequentemente di quanto si creda che nella compravendita di un immobile tra privati nessuno si curi di verificare la reale conformità urbanistica dell’abitazione da acquistare.
Si tratta di un aspetto che non può in alcun modo essere trascurato in quanto può pregiudicare la libera commercializzazione del bene.
E’ molto importante quindi prima di acquistare un immobile controllare che lo stato di fatto dello stesso non sia sostanzialmente difforme alle planimetrie depositate presso gli sportelli catastali degli Uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio e l’ufficio tecnico del Comune, sezione urbanistica.
Qualora da un primo raffronto la rappresentazione derivante dalla planimetria non coincida con la situazione reale dell’immobile visitato (per esempio: ci sia una stanza in più, ci sia un soppalco, sia sostanzialmente diversa la distribuzione degli spazi interni, etc..) sarà necessario chiedere al venditore tutta la documentazione riguardante le modifiche interne apportate.
I nuovi lavori infatti potrebbero essere stati eseguiti a seconda dei casi sulla base di una licenza edilizia (fino al 30 gennaio 1977), concessione edilizia (dopo il 30 gennaio 1977 e prima del giugno 2003), permesso di costruire (dal 30 giugno 2003 in poi), denuncia di inizio di attività (DIA), titolo abilitativo in sanatoria (condono edilizio) in caso di costruzione realizzata in assenza del provvedimento autorizzativo, ovvero in totale difformità dello stesso.
Se invece l’immobile è stato costruito in tutto o in parte abusivamente e non è stata presentata domanda di condono edilizio ai sensi delle leggi n.47/85; 724/1994 e n. 326/2003 ci si può trovare di fronte ad un bene addirittura incommerciabile, oppure nei casi meno gravi, ad un bene che, per essere regolare deve essere oggetto di un apposito provvedimento rilasciato dal Comune ed il più delle volte verso il pagamento di oneri anche di forte entità.
Nel nostro sistema legislativo non è in realtà previsto un controllo veramente efficace su questo importante aspetto.
È vero infatti che la legge 47/85 all’art. 41 ha stabilito che, qualora la costruzione risulti iniziata successivamente al 1 settembre 1967, deve essere fatta menzione nel contratto dei titoli autorizzativi comunali (licenza edilizia, concessioni ad edificare etc..); ma si tratta comunque di una semplice dichiarazione, riportata nel rogito notarile a carico del venditore il quale però sovente non è al corrente della reale situazione urbanistica dell’immobile.
È pertanto fortemente consigliabile effettuare attraverso un tecnico di propria fiducia il controllo della regolarità urbanistica dell’immobile e, eventualmente porre a carico del venditore la cura e le spese delle conseguenti pratiche di regolarizzazione.
Non bisogna dimenticare infine di farsi esibire il “Certificato d’Agibilità” o il documento di autocertificazione del termine per la formazione del silenzio assenso protocollato dal Comune.
Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi istallati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente (art.24 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, Testo Unico in materia edilizia).
Tale certificato viene rilasciato dall’Ufficio Tecnico del Comune in cui si trova l’immobile con riferimento ai seguenti interventi (indipendentemente dal fatto che per gli stessi sia richiesto il permesso a costruire o la DIA):

1) nuove costruzioni;

2) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

3) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi istallati.

Il certificato di agibilità non vale ad attestare la conformità dell’edificio al progetto approvato, bensì la mera idoneità dell’edificio, sotto il profilo igienico sanitario, della sicurezza e del risparmio energetico, ad essere utilizzato ai fini abitativi o commerciali previsti.
Il ruolo del certificato è quindi assolutamente di primo piano e la sua mancanza non può non avere degli effetti negativi, che si manifestano in primo luogo nell’ambito del contratto di vendita dell’immobile che ne difetta. Infatti l’assenza di agibilità costituisce motivo di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore con conseguente obbligo di risarcire il danno arrecato a meno che l’acquirente non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’agibilità o abbia comunque esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza.

3. Aspetti catastali

Altra documentazione molto importante che è necessario acquisire è quella catastale.
Il Catasto è un registro nel quale si elencano e descrivono tutti i beni immobili costruiti sul territorio nazionale con l’indicazione del luogo, dei confini, il nome dei loro possessori, il titolo da cui deriva la proprietà e la relativa rendita sulla quale devono essere calcolate le imposte.
Presso gli uffici del catasto (ora Agenzia del Territorio) è possibile controllare l’esatta consistenza dell’unità immobiliare che si va ad acquistare mediante la consultazione dei documenti ivi depositati, in particolare, è necessario reperire la piantina dell’appartamento con gli eventuali accessori (autorimessa, cantina, terrazzo etc.) e verificare che corrisponda allo stato reale dell’immobile. La piantina riporta inoltre i dati catastali che devono necessariamente coincidere con quelli scritti sull’atto di compravendita.
Se da un raffronto risultano differenze tra la planimetria catastale e la situazione di fatto dell’unità immobiliare oggetto della compravendita occorrerà provvedere alla sua regolarizzazione mediante la presentazione di una denuncia di variazione.
È da sottolineare come normalmente l’immobile nella planimetria catastale sia disegnato in scala 1:200; conseguentemente è possibile calcolare facilmente le sue dimensioni con un righello, sapendo che ogni centimetro corrisponde a due metri.
Presso gli sportelli catastali degli Uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio è possibile richiedere gratuitamente una visura nella quale vengono riportati i dati (categoria, classe, consistenza, rendita) relativi all’immobile.
Per ottenere tali informazioni è necessario tuttavia conoscere alternativamente i dati dell’intestatario o i riferimenti catastali (particella catastale) dell’immobile.
Inoltre va sottolineato che se anche nella visura catastale è indicato il soggetto titolare del bene, tale indicazione non fa mai piena prova della proprietà perché il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali.

4.Aspetti condominiali

In caso di acquisto di un appartamento in un condominio è necessario esaminare, prima di assumere qualsiasi impegno, il testo del regolamento condominiale.
Tale esame è importante sotto un duplice profilo: da un lato per garantirsi che, nel regolamento, siano inserite sufficienti clausole per evitare destinazioni moleste o indecorose nelle altre unità immobiliari, dall’altro (e qui l’esame sarà ancora più importante e decisivo) per verificare che, qualora si voglia effettuare un mutamento di destinazione d’uso dell’unità immobiliare di cui si sta trattando l’acquisto, il regolamento non lo vieti.
Una grande attenzione va dedicata anche alla ripartizione delle spese: se per esempio si ha intenzione di comprare casa al primo piano ed il regolamento condominiale stabilisce che le spese dell’ascensore si suddividono per millesimi e non per piani (norma palesemente iniqua ma legittima) l’acquirente non potrebbe farci nulla, perché logicamente i condomini dei piani alti non consentiranno mai alla modifica regolamentare.
Il regolamento inoltre potrebbe contenere disposizioni particolari in contrasto con i propri interessi. Se si ha un cane, ad esempio, è meglio accertarsi che il regolamento non vieti la presenza di animali.
Un altro rischio che potrebbe presentarsi per chi acquista un appartamento in condominio è quello di dover pagare forti quote di spese per interventi di manutenzione straordinaria sulle parti comuni ( si pensi ad esempio alla ristrutturazione di un tetto ovvero dell’impianto di riscaldamento) deliberate in precedenza dall’assemblea dei condomini ma i cui lavori non sono ancora iniziati e le rate della spesa non richieste al momento della compravendita.
Siccome in questo caso, per giurisprudenza consolidata, l’obbligo di pagamento ricade sul nuovo proprietario è opportuno, prima di pagare al venditore il saldo del prezzo convenuto, chiedere all’amministratore se esistano appunto spese straordinarie già deliberate o farsi consegnare copia del bilancio preventivo e dei verbali d’assemblea dell’ultimo anno.
Ulteriore rischio è quello di dover pagare ( per la solidarietà prevista dall’art. 63 comma II, delle disposizioni di attuazione del codice civile) spese condominiali arretrate dovute e non pagate dal venditore per l’anno in corso e quello precedente.
E’ quindi opportuno verificare la regolarità dei pagamenti per evitare di incorrere in spese impreviste, chiedendo all’amministratore, previa autorizzazione della parte venditrice, copia della documentazione relativa a detti pagamenti o una dichiarazione liberatoria.
Se per una qualsiasi ragione è stato impossibile verificare il corretto pagamento delle spese condominiali da parte del venditore è allora opportuno far inserire nel rogito notarile una clausola liberatoria al fine di non trovarsi esposti all’azione del condominio per il recupero delle spese stesse.
A prescindere dalle suddette situazioni è comunque opportuno prima di acquistare un appartamento in un contesto condominiale farsi consegnare copia del regolamento con tutte le tabelle millesimali allo scopo di verificare la superficie commerciale e l’ammontare delle spese annue da pagare con eventuali debiti da parte del venditore.

Agevolazioni fiscali prima casa

Quattro sono i requisiti richiesti dalla normativa vigente per usufruire delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa di cui abbiamo parlato in precedenza:

a) l’acquisto deve riguardare una casa di abitazione considerata non “di lusso” secondo particolari criteri ( fissati dal D.M. 2 agosto 1969 ), tra i quali spicca principalmente la superficie, che non deve essere superiore a 240 mq (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine);

b) l’immobile deve essere ubicato nel Comune in cui l’acquirente ha la residenza o in cui intende stabilirla entro 18 mesi dalla stipula o nel Comune dove l’acquirente svolge la propria attività prevalente (qualunque tipo di attività comprese quelle svolte senza remunerazione); questo presupposto non serve se si è cittadini italiani emigrati all’estero o se si è appartenenti al personale in servizio permanente presso le forze armate o alle forze di polizia.

c) l’acquirente non deve essere titolare in maniera esclusiva o in comunione (legale o convenzionale) con il coniuge di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile da acquistare. Di conseguenza la comproprietà di un’abitazione con altri soggetti diversi dal coniuge non ostacola la richiesta delle agevolazioni;

d) non bisogna essere titolare neppure per quote e anche in regime di comunione legale, su tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione, acquistata anche dal coniuge, usufruendo delle

agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”.

Le condizioni di cui alle lettere c) e d) e l’impegno di stabilire la residenza entro 18 mesi, da parte dell’acquirente che non risiede nel Comune ove è ubicato l’immobile che si acquista, devono essere attestate con apposita dichiarazione da inserire nell’atto di acquisto o, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, anche in un atto integrativo.

L’azione di verifica relativa alla sussistenza dei requisiti “prima casa” può essere effettuata dall’ufficio delle entrate territorialmente competente entro il termine massimo di 3 anni dall’acquisto.

Le agevolazioni per la prima casa sono estese anche alle pertinenze dell’immobile principale classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2 ( cantina o soffitta ), C/6 ( garage o box ), C/7 (tettoia o posto auto ) limitatamente ad una sola pertinenza per ciascuna categoria anche se non ubicate nel medesimo edificio o complesso immobiliare nel quale è sita l’abitazione principale e anche se acquistate con atto separato.

L’acquirente decade dalle agevolazioni prima casa quando:

a) le dichiarazioni previste dalla legge nell’atto di acquisto siano false;

b) non trasferisce entro 18 mesi la residenza nel comune in cui è situato l’immobile oggetto dell’acquisto;

c) vende o dona l’abitazione prima che sia decorso il termine di 5 anni dalla data di acquisto.

La decadenza dall’agevolazione comporta il pagamento per l’acquirente di una somma pari alla differenza tra imposta pagata e imposta che si sarebbe dovuto pagare come “seconda casa” maggiorata di una sanzione pari al 30% oltre agli interessi di mora.

Nell’ipotesi di vendita prima che siano decorsi 5 anni dalla data dell’acquisto si può evitare la decadenza dalle agevolazioni, acquistando nuovamente un immobile non “di lusso” da adibire ad abitazione principale entro un anno dalla data della vendita stessa.

In tal caso è possibile anche detrarre dalla somma dovuta a titolo di imposta di registro per il nuovo acquisto l’importo dell’imposta ( di registro o sul valore aggiunto) già pagata in occasione del primo acquisto: è questo, in termini tecnici il cosiddetto “credito d’imposta”, per le cui modalità ed ambito di applicazione è sicuramente opportuno rivolgersi al proprio notaio di fiducia.

Contratto definitivo d'acquisto (Rogito)

Le spese dell’atto notarile di compravendita o rogito sono normalmente accollate all’acquirente, al quale quindi spetta di scegliere il notaio che preferisce.
Il rogito notarile è l’atto conclusivo della compravendita immobiliare con il quale avviene il trasferimento della proprietà in capo all’acquirente.
Tale atto è il titolo in forza del quale formalmente la titolarità di un bene, in questo caso immobile, passa da un soggetto all’altro.
È errato ritenere che l’immobile sia comprato al momento del preliminare, con il quale si produce solo un obbligo a contrarre di fonte convenzionale, cioè le parti si impegnano a recarsi dal notaio per stipulare l’atto formale di vendita, il vero momento traslativo della proprietà.
Come più volte detto l’articolo 1350 del Codice Civile prescrive che i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili devono essere fatti per atto pubblico o scrittura privata autenticata.
L’atto pubblico è il documento redatto da un notaio, il quale dichiara che in sua presenza si sono verificati determinati fatti cioè in questo caso la vendita di un immobile.
Con l’atto pubblico il notaio attesta che davanti a lui si sono presentate delle persone, che hanno espresso una precisa volontà che è stata accolta nel documento (rogito) e che poi lo hanno sottoscritto.
I fatti attestati e descritti nell’atto pubblico fanno piena prova legale.
In tal caso il notaio dirige personalmente l’integrale compilazione dell’atto, previa indagine della volontà delle parti, al fine di tradurre la stessa in un contratto non solo formalmente perfetto ma anche idoneo a produrre il risultato pratico perseguito.
La scrittura privata autenticata invece fa piena prova solo della data e delle sottoscrizioni apposte sull’atto.
Con la scrittura privata il notaio si limita ad autenticare delle firme poste in calce ad un atto che può essere predisposto dai contraenti, da professionisti di loro fiducia o, anche, come succede normalmente nella pratica, dal notaio stesso.

Quest’ultima prassi comporta delle conseguenze specialmente dal punto di vista delle eventuali responsabilità del notaio.

Infatti, in tale ipotesi, tranne in particolari casi in cui le parti lo dispensano, egli è comunque tenuto ad effettuare controlli di ogni tipo per la corretta commerciabilità del bene.
Al riguardo di particolare interesse è l’aspetto della responsabilità professionale del notaio, per mancata o inesatta effettuazione delle visure catastali o ipotecarie.
La Giurisprudenza ha più volte ribadito che, in caso di rogazione di un atto di alienazione immobiliare, l’obbligo del notaio di effettuare le visure catastali o ipotecarie è contenuto nella stesso contratto di prestazione di opera intellettuale che lo lega al cliente e pertanto prescinde dal conferimento allo stesso di uno specifico mandato delle parti.
Il suddetto obbligo, viene meno soltanto per espressa e concorde dispensa delle parti, in caso di urgenza o per altre ragioni; mentre la semplice dichiarazione di libertà del bene trasferito, fatta dall’alienante di fronte al notaio, non comporta un implicito esonero dell’obbligo posto in capo al notaio stesso.
Se si vuole invece che il notaio compia indagini anche presso altri uffici (esempio: per accertare la regolarità edilizia di un fabbricato, vincoli urbanistici ecc..) è necessario conferirgli uno specifico incarico e che egli lo accetti.
Unitamente alle parti, poi, il notaio deve controllare la corrispondenza dell’atto al contenuto del compromesso stipulato a suo tempo, in modo che l’atto non contenga clausole né in più né in meno rispetto al preliminare.

Importanti novità in tema di responsabilità notarile sono state introdotte dalla disposizione dell’articolo 19 del Decreto Legge 31 maggio N° 78, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010 n. 122, la quale aggiunge il comma 1bis all’art. 29 della legge 27 febbraio 1985 che testualmente recita ” Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi, aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
La norma, che mira a perseguire sia la conformità oggettiva (cioè la corrispondenza tra gli immobili esistenti e le risultanze del catasto) che la conformità soggettiva degli immobili (cioè la corrispondenza tra i titolari iscritti in catasto e le risultanze dei registri immobiliari.) ha come ratio quella di consentire il miglioramento delle banche dati catastali e di pubblicità immobiliare nonché quella di far emergere ogni variazione dell’imponibile catastale dei fabbricati urbani contrastando così l’evasione fiscale e contributiva.
Per quanto riguarda l’ambito applicativo della norma in relazione alla tipologia di atti, preliminarmente bisogna precisare che deve trattarsi di atti tra vivi, redatti mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali quali compravendita, permuta ecc..
Restano esclusi invece dalla norma gli atti mortis causa, gli atti e i provvedimenti giudiziari, gli atti risultanti da scrittura privata non autenticata nonché tutti gli atti privi di effetti traslativi quali ad esempio il preliminare di compravendita.

È comunque consigliabile far risultare quanto prescritto dalla norma già dal compromesso, onde evitare che l’eventuale irregolarità catastale impedisca di dare esecuzione al contratto stesso con la stipula del definitivo.
Per fornire chiarimenti ai numerosi dubbi interpretativi che la norma sopra citata ha suscitato, l’Agenzia del Territorio ha emanato due circolari esplicative la n° 2 e la n° 3 rispettivamente del 9 luglio e del 10 agosto 2010.

La prima delle due circolari chiarisce che i riferimenti contenuti nella disposizione in questione ai “fabbricati già esistenti” ed alle “unità immobiliari urbane” ne circoscrive l’ambito di applicazione (questa volta con riferimento all’oggetto dell’atto) a:

– immobili già iscritti al catasto edilizio urbano (appunto già esistenti);

– immobili per i quali sussiste l’obbligo di dichiarazione in catasto.

A contrariis specifica l’Agenzia del Territorio, sono esclusi dai suddetti obblighi di identificazione catastale gli atti immobiliari relativi a:

– fabbricati iscritti in catasto come “ in corso costruzione” o “ in corso definizione” sempre che non siano stati ultimati o definiti;

– le particelle censite al catasto terreni;

– i fabbricati rurali, censiti al catasto terreni, che non abbiano subito variazioni, né perso requisiti oggettivi e soggettivi per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali;

– i fabbricati iscritti in catasto come “unità collabenti”, in quanto non più abitabili o servibili all’uso cui sono destinati;

– i lastrici solari e le aree urbane, iscritti al catasto edilizio urbano con l’indicazione della sola superficie, ai sensi del DPR 650/1972.

– “i beni comuni non censibili”, intendendosi per tali le porzioni comuni a diverse unità immobiliari e prive di autonoma capacità reddituale, quali, ad esempio, le scale, i cortili, i terrazzi condominiali ecc..;

– “i beni comuni censibili”, ossia quei beni comuni a più unità immobiliari, ma dotati di autonoma capacità reddituale come ad esempio l’alloggio del portiere quando il trasferimento delle relative “quote e diritti” avvenga unitamente alla cessione dell’immobile cui gli stessi accedono.

Diversamente, risultano assoggettati ai nuovi obblighi dichiarativi gli atti che dispongono il trasferimento autonomo dei “beni comuni censibili”, da parte dei condomini ( in questo caso infatti, l’unità oggetto di cessione perde la funzione di “bene condominiale”) così come quelli aventi ad oggetto le unità immobiliari cd. “afferenti”, relative all’edificazione di nuovi piani, o nuovi corpi di fabbrica, su un lotto già edificato e censito al catasto (ad esempio magazzini, autorimesse ecc.).
Come già accennato la prima parte del comma 1bis dell’art.29 della legge n.52, prevede che gli indicati atti immobiliari aventi ad oggetto fabbricati già esistenti devono contenere, a pena di nullità, anche il riferimento agli identificativi catastali; la circolare n° 2/2010 specifica che tali dati identificativi sono rappresentati da sezione, foglio, numero mappale (particella) ed eventuale subalterno.
Sono gli stessi dati che obbligatoriamente fanno parte del contenuto delle note di trascrizione (artt. 2659, 2660, 2826 e 2839 del Codice Civile).
La norma impone, sempre a pena di nullità, di far riferimento alle planimetrie depositate in catasto e, al riguardo, la circolare sopra citata specifica che tali informazioni devono essere, comunque richiamate nell’atto anche nell’ipotesi in cui le planimetrie relative al fabbricato non siano state depositate in catasto, anche in osservanza di uno dei casi di esenzione da tale adempimento (art.58 D.P.R. 1142/1949), o siano state dichiarate “non accettabili”, (in quanto non conformi al reale stato di fatto dell’immobile), oppure, nonostante il deposito, non siano più reperibili presso il catasto.

Ultimo fra gli adempimenti previsti dalla prima parte del comma 1 dell’art. 29 su citato è l’inserimento nel documento negoziale anche della dichiarazione, resa dagli intestatari, circa la conformità dei dati e delle planimetrie catastali con lo stato di fatto degli immobili urbani oggetto dell’atto.

A seguito dell’intervento della legge n.122/2010, di conversione del D.L. 78/2010, è stato previsto inoltre, che quest’ultima dichiarazione possa essere sostituita da un’attestazione di conformità resa da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.

In pratica gli atti contemplati dalla normativa in questione non possono essere stipulati e, se stipulati sono nulli, se non vi è conformità tra lo stato di fatto ed i dati catastali e le planimetrie depositate nonché se tale conformità non viene dichiarata in atto dai disponenti o non risulti da apposita attestazione resa da un tecnico abilitato ed allegata all’atto.

È bene tuttavia chiarire il concetto di conformità utilizzato dal legislatore, in quanto non ogni difformità dello stato di fatto dalle risultanze planimetriche e dai dati catastali impedisce la dichiarazione di conformità e, di conseguenza, la stipula dell’atto. Essendo, infatti la norma finalizzata al contrasto all’evasione, saranno rilevanti solamente le variazioni degli immobili che incidono sullo stato, la consistenza, l’attribuzione della categoria e della classe, cioè sulle componenti che influiscono sulla corretta determinazione della rendita catastale. Richiedono, pertanto, la denuncia di variazione gli interventi edilizi di ristrutturazione, ampliamento, frazionamento, cambio di destinazione di uso ovvero che comportino una redistribuzione degli spazi interni o modifichino l’utilizzazione di superfici scoperte. In parole povere l’unificazione di due camere o la divisione di una camera in due comportano la variazione della planimetria. Lo stesso discorso vale se un ripostiglio si trasforma in bagno o viceversa, o una terrazza viene coperta e trasformata in una stanza.
Sono, invece, accettate, le difformità lievi, che non incidono sull’ attribuzione della rendita catastale, essendoci in tal caso una conformità sostanziale tra lo stato di fatto e le planimetrie depositate, come ad esempio le piccole modifiche interne (spostamento di una porta o di un tramezzo senza mutare il numero dei vani e la loro funzionalità o le aperture e chiusure di porte o finestre), la variazione dei toponimi o, ancora, le inesattezze o gli errori relativi a piano ed indirizzo.
In definitiva, la mancata corrispondenza tra lo stato di fatto e la planimetria catastale renderà non stipulabile l’atto di compravendita in mancanza di una previa presentazione di una dichiarazione di aggiornamento catastale e di una nuova planimetria, tranne il caso di difformità lievi non comportanti mutamenti di rendita che, come visto, sono irrilevanti a tal fine.
Sottoscritto il rogito il notaio è obbligato ad una serie di adempimenti fiscali e burocratici, tutti di grande importanza.
Innanzitutto il notaio deve entro 20 giorni registrare l’atto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio) provvedendo a pagare contemporaneamente i tributi previsti per l’acquirente che, come meglio vedremo in seguito sono imposta di registro (o l’Iva, in caso di acquisto di immobile nuovo), l’ imposta ipotecaria e catastale, il bollo.

Il rogito viene portato alla Conservatoria in duplice copia e sia sull’originale (che viene trattenuto), che sulla copia (che viene restituita al notaio) verranno riportati il numero di registrazione. La copia, a sua volta duplicata, verrà consegnata sia al venditore che all’acquirente e riporterà sulla prima pagina il totale della cifra pagata a titolo di tributi sull’acquisto.
Alla Conservatoria, il notaio consegnerà anche una “Nota di trascrizione”.

Clausole Vessatorie nei Contratti Immobiliari

Rispetto ad altre categorie di mediazione, quella immobiliare si distingue per essere rivolta principalmente a clientela privata non professionale.
Ciò rende applicabile nei rapporti tra agenzia immobiliare e rispettivi clienti la disciplina prevista a tutela dei consumatori dal D.Lgs n. 206 del 06/09/2005 (cosiddetto “ Codice del Consumo”) in materia di clausole vessatorie.
Tale normativa infatti si applica esclusivamente ai contratti conclusi tra “consumatori” e “professionisti”; per consumatore deve intendersi “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”; mentre professionista “è la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizza il contratto”.
L’art. 33 punto 1 del Codice del Consumo definisce “ vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Il connotato fondamentale è il “significativo squilibrio tra le posizioni” da intendersi non come squilibrio economico ma normativo, riferito cioè ai diritti ed agli obblighi reciproci derivanti dal contratto.
La normativa in esame non si limita a fornire il suddetto parametro generale di vessatorietà cioè il “significativo squilibrio” ma elenca al punto 2 dell’art 33 una serie di clausole di frequente utilizzo nei contratti per adesione per le quali stabilisce una presunzione di vessatorietà.
Ciò vuol dire che per le suddette clausole il legislatore ha dato a priori un giudizio di vessatorietà, valutandole come tipici casi di “significativo squilibrio tra le prestazioni”.
È comunque possibile far dichiarare la vessatorietà di una clausola contrattuale non rientrante in nessuna delle ipotesi indicate dal punto 2 dell’articolo 33 del Codice del Consumo in quanto l’elenco nello stesso contenuto è esemplificativo.
In tal caso, non operando alcuna presunzione di vessatorietà, sarà necessario dimostrare il notevole squilibrio tra le prestazioni poste a carico del professionista e del consumatore.
È opportuno sottolineare come nella valutazione della vessatorietà non rileva la colpa del professionista o la consapevolezza di ledere l’altrui diritto, la clausola infatti è vessatoria a prescindere dalla buona fede del predisponente.
Il punto 4 dell’art. 34 del Codice del Consumo stabilisce poi che “non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale”
Lo spirito della norma è di salvaguardare comunque il principio fondamentale dell’autonomia negoziale.
Il consumatore viene tutelato dalle clausole imposte unilateralmente dal professionista ma ha l’obbligo di rispettarne il contenuto ove le stesse siano state espressamente discusse e trattate con il professionista stesso.
In quest’ultimo caso le clausole dovranno ritenersi pienamente valide ed efficaci. Occorre, tuttavia che il consumatore abbia avuto la possibilità effettiva e concreta di influire sul contenuto della clausola o del contratto nel suo complesso, magari accettando quella condizione per così dire “sbilanciata”, in cambio di altre concessioni nell’ambito dell’intero rapporto negoziale con il professionista.
È evidente quindi che non possono ritenersi sufficienti eventuali clausole di stile apposte in calce al contratto passibili a loro volta di essere dichiarate vessatorie in quanto dirette a limitare la facoltà di opporre eccezioni ( art. 33 punto 2 lettera t) ).
È inoltre previsto all’art. 34 punto 5 del Codice del Consumo che nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli e formulari per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti contrattuali, spetta al professionista l’onere di provare che le clausole, nonostante
siano state unilateralmente predisposte, sono state oggetto di una specifica trattativa con il cliente.
Anche tale disposizione risulta applicabile alle Agenzie Immobiliari che normalmente si avvalgono nell’esercizio della loro attività di moduli e formulari che specificano le condizioni di contratto applicate.
In ogni caso le clausole vessatorie (secondo l’accezione sopra riportata) inserite nei contratti proposti al consumatore, sono considerate inefficaci, e quindi nulle. Si tratta di una nullità che opera solo a vantaggio del consumatore ed è parziale perché il contratto rimane efficace per il resto.
È quindi opportuno che i moduli contrattuali utilizzati dalle Agenzie Immobiliari contengano clausole che prevedano diritti reciproci per entrambe le parti, proprio perché il riequilibrio può essere perseguito con l’inserimento di ben determinati obblighi e doveri a carico del mediatore. Spetterà poi a quest’ultimo, in caso di contestazione, dimostrare che esiste, nel contesto complessivo del contratto, un sostanziale equilibrio dei diritti e degli obblighi tale da annullare qualsiasi svantaggio a scapito del consumatore.
Prima di passare all’esame di alcune clausole contenute nei modelli contrattuali utilizzati dagli agenti immobiliari che, sulla base di quanto esposto in precedenza, sono da considerarsi potenzialmente vessatorie può essere utile una osservazione di carattere generale che riguarda la stesura dei contratti, sia in relazione alla forma grafica, sia dal punto di vista del lessico e della sintassi.
La legge prevede infatti che, in caso di contratti proposti al consumatore per iscritto, gli stessi siano redatti nella forma più chiara e semplice possibile in modo da consentire a chiunque, anche al consumatore più sprovveduto, di capire il significato reale del contratto che sta per stipulare e di prendere coscienza anche degli oneri che da esso derivano.

In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore.
Le clausole che nei contratti immobiliari più frequentemente risultano interessate dalla normativa in questione sono:

1) irrevocabilità dell’incarico;

2) esclusiva;

3) tacito rinnovo

4) penale in caso di recesso;

5) foro competente;

4.1 Clausola d’irrevocabilità

Con l’inserimento della clausola d’irrevocabilità il mediatore riduce il rischio per così dire di “lavorare a vuoto” e si cautela da futuri ripensamenti del committente prevedendo un termine entro il quale il contraente non può revocare l’incarico.

Tale clausola, se pattuita esclusivamente a favore del mediatore, rientra nell’ipotesi prevista dall’articolo 33, 2° comma lettera g) del codice del Consumo in quanto produce l’effetto di attribuire solo al mediatore la facoltà di recedere dall’incarico pur in assenza di una previsione espressa in tal senso nel contratto, potendo di fatto lo stesso sottrarsi all’incarico ricevuto mediante la semplice inerzia.

Tuttavia la presunzione di vessatorietà della clausola in questione potrebbe essere superata laddove fosse:
1) rigorosamente limitata nel tempo;
2) oggetto di reale trattativa con previsione della facoltà di recesso per entrambe le parti dietro la corresponsione a titolo di multa penitenziale di una determinata somma di denaro che comunque non dovrebbe essere troppo gravosa per il consumatore.
Inoltre per soddisfare l’esigenza di un maggior equilibrio contrattuale le agenzie sono solite prevedere nei loro moduli la prestazione di servizi ulteriori rispetto alla semplice messa in contatto delle parti quali: l’impiego di particolari forme di pubblicità commerciale, l’effettuazione della stima dell’immobile, la consultazione dei pubblici registri per la verifica della condizione giuridica dell’immobile medesimo e dell’affidabilità delle parti contraenti, la rinuncia al rimborso spese nel caso in cui l’affare non si concluda (si ricordi che in mancanza di questa clausola il rimborso è un diritto) ecc..

Clausola d’esclusività
Altra clausola largamente diffusa nella prassi della contrattazione delle Agenzie Immobiliari è quella che, come abbiamo già visto, prevede a favore del mediatore la cosiddetta “esclusiva”: con essa il consumatore si obbliga nei confronti del mediatore a non avvalersi di altri soggetti intermediari e a non vendere direttamente l’immobile; tale clausola viene estesa anche ai casi in cui il consumatore vende l’immobile, dopo la scadenza dell’incarico, a soggetti presentati dall’agenzia.
La clausola d’esclusività è uno strumento che tutela il mediatore che si può dedicare a lavorare sulla vendita senza il timore che il committente possa avvalersi di altri soggetti.
Poiché il patto d’esclusiva a favore del mediatore comporta una restrizione della libertà contrattuale del cliente ai sensi dell’ 33, 2° comma lettera t) del codice del Consumo, lo stesso deve essere oggetto di reale trattativa tra le parti ex art. 34 comma 4° del codice del Consumo stesso.
È importante sottolineare comunque che l’esclusiva non è di per se proibita e che sarà sempre possibile per il mediatore pattuire con il singolo cliente l’esclusività del suo incarico, concedendo, in cambio, delle prestazioni supplementari.
Quale bilanciamento, le agenzie immobiliari sono solite offrire uno o più servizi aggiuntivi che possono consistere, a titolo esemplificativo, nel:
a) promuovere diligentemente la vendita mediante strumenti di pubblicità rafforzata (pubblicazione a loro cure e spese di annunci-locandine-foto ecc…);
b) elaborare report informativi completi sullo stato urbanistico, catastale e architettonico dell’immobile;
c) rinunciare al rimborso delle spese in caso di mancata conclusione dell’affare;
d) fornire alle parti assistenza fino all’atto notarile ed eventuale assistenza del cliente presso gli uffici pubblici ecc…;
e) effettuare la stima dell’immobile da vendere.

Tacito rinnovo dell’incarico

L’incarico conferito all’agenzia immobiliare spesso prevede la tacita proroga dello stesso, salva disdetta da inviare al mediatore entro un certo termine prima della scadenza.
La previsione del tacito rinnovo non è di per sé vessatoria: viceversa si presume vessatorio ai sensi dell’art. 33 comma 2°, lettera i) del codice del Consumo, stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare disdetta al fine di evitare la proroga tacita.

È evidente al riguardo che la valutazione circa l’eccessiva anticipazione del termine (rispetto alla scadenza del contratto) per la comunicazione della disdetta non può essere stabilita in astratto, ma solo in relazione alla durata del singolo contratto.

Clausola penale

La clausola penale è un’altra clausola frequentemente utilizzata nella modulistica contrattuale delle agenzie immobiliari.
La previsione di una penale, di per sé non è illegittima (vessatoria), ma lo diventa qualora abbia l’effetto di imporre al consumatore, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro d’importo manifestamente eccessivo a titolo di risarcimento o ad altro titolo equivalente (art. 33, 2° comma lettera f) ).
È manifestatamene eccessiva quella clausola penale che preveda il pagamento di un importo sproporzionato rispetto all’attività posta in essere dall’agente immobiliare al momento dell’indebita revoca; questo naturalmente nel caso in cui il consumatore non possa dimostrare l’inadempienza quale causa della revoca del mandato, poiché in tal caso non ci sarebbe violazione contrattuale.

Normalmente, la penale prevede due distinte formulazioni:

– il pagamento di una cifra d’importo pari alla provvigione, che potrebbe essere ritenuta efficace quando il mediatore abbia ben lavorato e la mancata conclusione dell’affare sia addebitabile ad ingiustificata motivazione del cliente;
– il pagamento di una percentuale o comunque di una cifra ridotta rispetto all’importo della provvigione applicabile nel caso in cui il mediatore non può dimostrare l’esito favorevole e conclusivo della sua attività.

In ogni caso tale clausola deve essere valida per entrambe le parti e, in caso di inadempienza dell’agente deve essere previsto che lo stesso debba versare al cliente il doppio del-l’importo stabilito per quest’ultimo.
A tal fine sarebbe opportuna la previsione negoziale, all’interno dei moduli utilizzati dalle agenzie immobiliari, di tutte quelle attività che il mediatore effettivamente andrà a svolgere per l’adempimento dell’incarico ricevuto allo scopo di ben individuare gli obblighi negoziali facenti capo allo stesso.

Foro competente

L’art. 33, 2° comma lettera u) del Codice del Consumo prevede la presunta vessatorietà delle clausole che stabiliscono “ come sede del foro competente sulle controversie, località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore” e ciò per evitare al consumatore stesso di dover agire presso un foro territorialmente “gravoso” per l’esercizio delle proprie difese.
Nei contratti stipulati dalle agenzie immobiliari sovente è presente la clausola che in caso di controversia individua il foro competente in quello del luogo ove ha la sede legale l’impresa di mediazione che coincide con il luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione. Il contratto infatti di solito viene sottoscritto nei locali dell’impresa di mediazione nel cui ambito territoriale si trova l’immobile oggetto dell’incarico.
Altre volte i moduli contrattuali prevedono l’elezione del domicilio del consumatore presso la sede dell’agenzia immobiliare.
La presunzione di vessatorietà di clausole di questo tipo può essere superata con l’eventuale prova di un effettiva trattativa individuale ai sensi dell’art. 34 comma 4° del codice del Consumo.

Contratto preliminare di compravendita

Il contratto preliminare di compravendita (detto anche compromesso) è un atto con il quale venditore e acquirente si obbligano a concludere un successivo contratto detto definitivo stabilendone modalità e termini.
Nel caso di compravendita di immobili, cioè, le parti si impegnano a recarsi dal notaio per stipulare l’atto formale di vendita, il vero passaggio di proprietà, che potrà avvenire o per atto pubblico o per scrittura privata con autenticazione delle sottoscrizioni.
L’art 1351 del codice civile stabilisce che il contratto preliminare è nullo se non è stipulato nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo e l’art 1350 del c.c. individua specificatamente gli atti che devono essere fatti per iscritto sotto pena di nullità e, tra questi al n.1) sono previsti i contratti che trasferiscono i beni immobili.
Quindi la promessa di trasferire la proprietà di un immobile andrà sempre redatta per atto scritto il quale dovrà contenere tutti gli elementi del futuro contratto.
In particolare nel compromesso deve essere individuato il bene immobile con tutti gli elementi idonei per consentirne la sua identificazione in modo inequivoco, il prezzo ed i soggetti del futuro contratto (elemento particolarmente importante nel caso che i venditori siano più di uno così come non è da trascurare in caso di società, la firma di chi ha la relativa legittimazione nonché la firma di entrambi i coniugi in caso di venditore in regime di comunione legale dei beni)
Può tuttavia accadere che il compratore non sappia ancora chi sarà il futuro acquirente della casa (un figlio, un parente ovvero una società che deve ancora essere costituita).
In questo caso è comunque possibile porre in essere un contratto preliminare contenente una clausola c.d. per persona da nominare che consenta cioè la nomina successiva della persona dell’acquirente nella cui sfera giuridica, il preliminare è destinato a produrre effetti (art. 1401 del Codice Civile).

Il compromesso o contratto preliminare di una compravendita immobiliare deve contenere i seguenti elementi per non creare problemi:
1) nome, cognome, data e luogo di nascita (o ragione sociale e qualità legale di chi sottoscrive l’atto, nel caso di società), codice fiscale e regime patrimoniale sia del venditore che del compratore (con la possibilità per quest’ultimo, come già detto, di aggiungere l’utile clausola “ per sé o persona da nominare”);
2) descrizione dell’immobile quanto più accurata possibile, con i dati risultanti dalla scheda catastale (partita, foglio, particella, subalterno, categoria, classe, numero vani), confini, numero civico e in allegato la planimetria catastale. Vanno sempre descritti tutti i vani con particolare attenzione alle pertinenze , come solai, cantine e box che qualche volta non sono riportati nelle schede catastali;
3) prezzo pattuito; eventuale clausola di revisione prezzo per le vendite con pagamenti differiti (particolarmente delicata in quanto in base alla revisione il prezzo pattuito potrebbe variare e di molto, specie se si tratta di acquisto di immobili in corso di costruzione ancora allo stadio iniziale);
4) le modalità di pagamento, indicando in maniera chiara l’eventuale parte imputata a caparra confirmatoria, gli acconti e, se presente, la caparra penitenziale;
5) la data entro la quale le parti intendono stipulare il rogito ed il notaio incaricato di redigerlo che di norma viene scelto dall’acquirente;
6) tempi di consegna dell’immobile (precisazione se la consegna avviene contestualmente alla firma del preliminare, o quando avverrà in relazione al pagamento delle rate, o all’ultimazione della costruzione, prevedendo eventuali penali per il ritardo, o al rogito);
7) l’esistenza o meno di vincoli ipotecari;
8) l’accollo dell’eventuale mutuo residuo al compratore o la sua estinzione a cura del venditore con conseguente impegno a far cancellare l’ipoteca;
9) la provenienza dell’immobile, cioè come l’immobile è venuto in proprietà del venditore facendo particolare attenzione a beni ricevuti tramite donazione o eredità;
10) garanzia del venditore: che l’immobile è regolamentare secondo le leggi e regolamenti urbanistici vigenti, che su di esso non gravano servitù o diritti di terzi , che tutte le spese condominiali sono state sinora soddisfatte e quant’altro ritenuto necessario;
11) gli estremi degli eventuali agenti immobiliari o società che abbiano seguito la vendita e delle spese di mediazione pagate.
Poiché con il compromesso si crea un importante vincolo giuridico che obbliga venditore ed acquirente a sottoscrivere successivamente l’atto definitivo è sempre consigliabile farsi seguire da un professionista esperto, magari dallo stesso notaio che curerà la redazione dell’atto definitivo che, in tal caso provvederà a:
– fornire consulenza sotto ogni aspetto al fine di evitare controversie giudiziali;

Le fasi della compravendita e gli atti che impegnano il venditore e l’acquirente

– effettuare accertamenti preliminari (visure ipotecarie, visure catastali), in particolare se sono state corrisposte consistenti somme di denaro come acconto o caparra;
– verificare validità e portata delle clausole.
La stipula del contratto preliminare è il momento nel quale, come già esaminato in precedenza, si versa una quota del prezzo pattuito che dovrà essere corrisposto a mezzo di assegno “non trasferibile”, intestato esclusivamente al proprietario venditore (o ad ogni singolo proprietario pro quota). Meglio se consegnato al notaio, che provvederà a corrisponderlo alla parte venditrice non appena effettuate le necessarie visure e la trascrizione del compromesso..
È importante sapere che tutti i pagamenti relativi all’acquisto di un immobile devono obbligatoriamente essere effettuati attraverso assegni o bonifici bancari, fatto salvo per transazioni per un valore non superiore a 12.500,00 euro.
Gli estremi di questi pagamenti dovranno essere conservati poiché il notaio che stipulerà l’atto dovrà citarli nello stesso.
Un contratto preliminare di vendita, sia esso fatto per atto notarile o per scrittura privata,
è soggetto a registrazione in termine fisso presso l’Agenzia del Territorio competente (solo il contratto preliminare di vendita da parte di imprenditore, proprietario di terreno edifica-bile senza caparra non è soggetto a registrazione in termine fisso).
Tale registrazione è obbligatoria e deve essere fatta entro 20 giorni dal perfezionamento del preliminare cioè dalla sua firma o in caso di proposta irrevocabile entro 20 giorni dall’avvenuta comunicazione scritta al proponente dell’accettazione del venditore.
Se il preliminare è firmato con atto notarile, la registrazione viene fatta dal notaio entro 30 giorni.
L’art.1, comma 46, della legge 27 dicembre 2006 n°296 estende anche all’agente immobiliare l’obbligo di richiedere la registrazione e pone a carico dello stesso la responsabilità solidale per il pagamento dell’imposta di registro.
Per meglio comprendere: in primo luogo, tenuti ad adempiere alla registrazione sono e rimangono le parti contraenti, le quali devono provvedervi indipendentemente dall’intervento dell’agente immobiliare; quest’ultimo, però rimane personalmente responsabile se le parti non adempiono e Amministrazione finanziaria si rivolgerà a lui per ottenere il paga-mento.
Le imposte principali da pagare in sede di registrazione sono l’imposta di registro in misura fissa pari a 168,00 euro e l’imposta proporzionale pari allo 0,50% della caparra. In presenza di acconti prezzo, se il contratto definitivo è soggetto all’imposta di registro, sarà dovuta anche l’imposta proporzionale pari al 3% di ciascun acconto.
L’imposta pagata sulla caparra e sugli acconti potrà essere recuperata detraendola dall’imposta di registro che va versata al momento del rogito.
Se però la vendita è soggetta ad IVA, gli acconti di prezzo devono essere fatturati dal pro-mittente venditore con l’aliquota corrispondente a quella della cessione (es. 4% per prima casa) mentre l’imposta di registro per la caparra non è recuperabile.
A norma dell’art.2645 bis del Codice Civile i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di contratti di compravendita di beni immobili (o che comportano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di diritti reali su beni immobili), anche se sottoposti a con-
dizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Scopo di tale norma è quello di assicurare una tutela più incisiva al promissario acquirente, fornendogli uno strumento di opponibilità ai terzi degli accordi assunti con il promittente venditore nel lasso di tempo tra preliminare e definitivo.
L’obbligo giuridico che nasce dalla firma del preliminare infatti ha effetto solo tra le parti.
Questo significa che nonostante la firma del preliminare il venditore:

– potrebbe vendere lo stesso immobile ad altre persone ovvero costituire su di esso diritti reali di godimento (es:un usufrutto, delle servitù ecc.);

– potrebbe iscrivere ipoteche sull’immobile;

In questi casi, non potendo richiedere al giudice di invalidare la vendita o la costituzione del diritto reale di godimento o la concessione dell’ipoteca, l’unico strumento a disposizione del promissario acquirente è la richiesta di risarcimento dei danni.
Per queste ragioni è caldamente consigliabile procedere alla trascrizione del contratto preliminare, per la quale è necessario l’intervento del notaio dal momento che la legge, come si è già visto, richiede che il contratto risulti necessariamente da atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata.
Con la trascrizione del preliminare nei Registri Immobiliari quindi, altre eventuali vendite dello stesso immobile e in genere tutti gli atti fatti o “subiti” dal promittente venditore non pregiudicano i diritti del promissario acquirente.
La trascrizione del contratto preliminare, infatti, costituendo una specie di “prenotazione” dell’acquisto (esercitabile entro l’anno dalla data stabilita per il rogito definitivo e comunque entro tre anni dalla trascrizione del preliminare) fa sì che il primo che abbia provveduto alla trascrizione (si badi bene: non il primo che abbia sottoscritto il preliminare) vinca il conflitto con gli altri promettenti acquirenti e possa legittimamente richiedere la stipula del rogito definitivo. Inoltre eventuali ipoteche, pignoramenti ecc. che possono colpire l’immobile successivamente alla trascrizione del preliminare, non avranno nessun effetto a danno del futuro acquirente.
La trascrizione inoltre garantisce un ulteriore tutela al compratore anche per il caso di mancato adempimento del contratto preliminare, infatti viene riconosciuto ai crediti dell’acquirente che sorgono per effetto di tale inadempimento un privilegio speciale sull’immobile oggetto del contratto preliminare.
Conseguentemente, in caso di mancata esecuzione del preliminare, il futuro acquirente può a sua scelta o far vendere l’immobile all’asta per recuperare quanto versato, proprio come se avesse un ipoteca a suo favore, oppure ottenere una sentenza che trasferisca a suo favore la proprietà del bene.
Queste specifiche tutele, come già accennato, trovano applicazione solo se il contratto definitivo viene trascritto entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la sua conclusione e comunque entro 3 anni dalla trascrizione del preliminare
Quest’ultima costituisce una valida garanzia per la parte acquirente anche nel caso in cui il venditore (qualora si tratti di imprenditore) fallisca nel periodo compreso tra la data del preliminare a quella fissata per la vendita.

Le fasi della compravendita e gli atti che impegnano il venditore e l’acquirente

In questo caso, il curatore fallimentare avrà due possibilità: dare esecuzione al contratto ( e quindi trasferire al promittente acquirente l’immobile e riscuotere l’intero corrispettivo), oppure risolverlo (cioè sciogliersi dal contratto). Se nella prima ipotesi nessun problema si crea per il promittente acquirente, nel secondo, se il preliminare non è stato trascritto egli diviene creditore del fallimento, andando a concorrere con tutti gli altri nella distribuzione dell’attivo (e quindi, nella maggior parte dei casi non ricaverebbe nulla). Se il preliminare risulta invece trascritto, egli avrà un privilegio speciale e, pertanto nella ripartizione di quanto ricavato dalla vendita “forzata” del bene, ha diritto di essere preferito ad altri creditori e quindi di essere pagato prima degli altri creditori.
Sarà quindi tanto più opportuno trascrivere il preliminare quanto maggiore è il rischio di incorrere in una delle spiacevoli conseguenze sopra illustrate ossia:

– quanto maggiore è il lasso di tempo che dovrà trascorrere tra la data di stipula del preliminare di compravendita e la data di stipula del contratto definitivo;
– quanto maggiore è l’importo da versare a titolo di caparra o di acconto;
– quanto maggiore è il rischio di azioni di terzi per il caso di insolvenza del venditore (come nel caso di venditore imprenditore che in quanto tale potrebbe fallire).

La trascrizione dovrà essere eseguita dal notaio che ha ricevuto o autenticato il contratto preliminare entro 30 giorni dalla stipula del contratto medesimo.
Ovviamente è meglio trascrivere al più presto, poiché l’effetto prenotativo sopra illustrato si produce dal momento in cui è stata effettuata la trascrizione e non dal momento di stipula del preliminare”.

Proposta irrevocabile d'acquisto

Normalmente, in caso di intervento dell’agente immobiliare, al futuro acquirente viene consigliato di sottoscrivere una proposta d’acquisto indirizzata al venditore che manifesta l’interesse del primo all’acquisto dell’immobile, indicando un termine entro il quale permarrà l’interesse. Tale proposta è definita dall’art.1329 c.c. come irrevocabile: “Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto” (art.1329, comma 1, c.c.). La formulazione della proposta di acquisto è una delle fasi più delicate delle trattativa in quanto, dal momento della sottoscrizione, impegna la parte proponente all’acquisto per il periodo stabilito. Essa è vincolante per il proponente ma non ancora per il venditore, il quale finché non accetta e sottoscrive rimane libero da qualsiasi impegno. Allo scadere del termine di validità, se il venditore non ha accettato, la proposta diventa inefficace e l’aspirante acquirente non ha assolutamente più alcun obbligo. Gli elementi essenziali della proposta di acquisto sono:

1) l’intenzione di obbligarsi all’acquisto;
2) la completezza, dovendo essa contenere tutti gli estremi del contratto che si vuole concludere;
3) la forma scritta, poiché per i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili la legge richiede tale forma solenne.

Se ci si avvale di un mediatore, l’agente immobiliare compilerà il modulo prestampato alla presenza dell’interessato, inserendo tutte le condizioni relative alla compravendita.
È necessario fare attenzione a come viene determinato il prezzo se cioè a corpo o a misura. Il prezzo concordato quindi può riferirsi alla superficie reale (vendita a misura) oppure a forfait (vendita a corpo). In genere si utilizza la vendita a corpo. Nella vendita a misura, una delle parti può chiedere la riduzione o l’integrazione del prezzo stabilito se, alla consegna, la superficie commerciale risulta superiore o inferiore anche di un solo ventesimo di quella indicata sul rogito notarile o sul compromesso.
La proposta di acquisto è accompagnata di solito da un deposito infruttifero sotto forma di assegno bancario rilasciato dall’acquirente e intestato al venditore; tale somma resta “bloccata” (e quindi viene sottratta alla disponibilità dell’acquirente) per tutta la durata di validità della proposta di acquisto. Nel frattempo come già detto il venditore è libero di valutare anche altre offerte. Quindi non è certo che a fronte del “sacrificio” subito dall’acquirente l’affare giungerà a conclusione.
Infatti in caso di non accettazione della proposta da parte del venditore l’assegno verrà restituito; al contrario in caso di conclusione del contratto, cioè nel momento in cui al compratore giunge notizia scritta dell’accettazione da parte del venditore, quest’ultimo incasserà l’assegno versato che diventerà caparra confirmatoria secondo la definizione prevista dall’art. 1385 del Codice Civile e che analizzeremo meglio in seguito.
Quello che è importante sottolineare è che nel momento in cui l’acquirente viene a conoscenza dell’accettazione della proposta irrevocabile di acquisto da parte del venditore il contratto è concluso e si forma un vero e proprio preliminare in quanto si è di fronte all’incontro formale delle volontà delle parti di obbligarsi al trasferimento della proprietà in conformità al principio consensualistico fissato dall’art 1326 del codice civile secondo il quale:” il con- tratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Al fine di evitare un notevole pregiudizio alle aspettative delle parti contraenti, è necessario che nei moduli predisposti dalle agenzie immobiliari sia precisato il fatto che con l’accettazione della proposta di acquisto si perfeziona un contratto preliminare. La precisazione di quanto sopra evidenziato rappresenta una tutela anche per il mediatore il quale, negli incarichi di mediazione, dovrà chiaramente stabilire che, ai fini del sorgere del suo diritto alla provvigione, l’accettazione della proposta e la conseguente comunicazione di detta accettazione al proponente determina il perfezionamento di un contratto preliminare. Tutto questo in quanto le parti devono essere poste nella condizione di decidere se intendono raggiungere un accordo di massima, rimandando ad un momento successivo la stipula del preliminare o, se invece, intendono immediatamente stipulare un vero e proprio preliminare di vendita con conseguente conclusione dell’affare e diritto alla provvigione da parte del mediatore.
Sovente, per tener conto delle più varie esigenze delle parti, si può giungere alla formulazione di un nuovo preliminare, più specifico ed articolato, che sostituisca il modulo prestampato e che disciplini eventuali aspetti non contenuti nella proposta. Tuttavia per la stipula del nuovo preliminare che vada ad integrare e modificare le disposizioni contenute nella proposta di acquisto accettata dal venditore, serve l’accordo di entrambe le parti, in mancanza del quale o ci si ritira dall’affare (perdendo o dovendo restituire il doppio della caparra come vedremo meglio in seguito) o si è costretti a rispettare gli impegni assunti con la sottoscrizione della proposta di acquisto. Quest’ultima eventualità consiglia di evitare la sottoscrizione di proposte di acquisto il cui contenuto non coincida con quelle di un preliminare vero e proprio ( specie per quel che riguarda le modalità di pagamento del prezzo, la descrizione dell’immobile e le garanzie). In base a quanto detto quindi è sempre preferibile stipulare un contratto preliminare vero e proprio: tuttavia nel caso si debba sottoscrivere una proposta di acquisto è consigliabile:

a) fissare una durata la più breve possibile;
b) prevedere una caparra minima;
c) intestare la proposta e il relativo assegno, come già detto, al venditore e non all’agente immobiliare;
d) in caso di richiesta di un mutuo, far inserire la clausola “proposta valida salvo accettazione mutuo”;
e) indicare la conformità urbanistica dell’immobile nonché eventuali iscrizioni ipotecarie e gravami di qualsiasi natura;
f) in caso di indisponibilità della documentazione principale relativa all’immobile (in particolare atto di provenienza e schede catastali) indicare le modalità con le quali i documenti verranno messi a disposizione. Per maggiore comodità e semplicità, nella pratica si può compilare un apposito modulo predisposto da alcune associazioni di categoria degli agenti immobiliari (ad esempio la FIAIP o la FIMAA), dove sono già stati previste e scritte in maniera equilibrata, la maggior parte delle clausole necessarie ad una normale compravendita.

Un discorso a parte che merita particolare attenzione è quello della qualificazione giuridica delle somme di denaro che a vario titolo vengono consegnate dal futuro acquirente al venditore prima di arrivare alla stipula del rogito. Le espressioni normalmente usate nei contratti sono quelle di caparra e acconto ma al riguardo è necessario fare alcune precisazioni. Innanzitutto bisogna distinguere tra caparra confirmatoria e caparra penitenziale. La caparra confirmatoria prevista dall’art.1385 del Codice Civile è un anticipo sul prezzo d’acquisto dell’immobile che viene versato dall’acquirente all’atto del compromesso. Come tale impegna entrambe le pari alla conclusione dell’affare. Questo vuol dire che se l’acquirente si ritira dall’affare, il venditore può recedere dal contratto trattenendo la caparra. Se è invece il venditore (cioè chi ha già incassato i soldi) a ritirarsi dall’impegno, l’acquirente può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. La parte adempiente (quella che rispetta i patti) può anche scegliere una via diversa e cioè chiedere al giudice l’esecuzione in forma specifica del contratto (art.2932 c.c.), oppure la risoluzione di quest’ultimo per inadempimento della controparte ed il risarcimento del danno. Questo tipo di caparra è, quindi, un patto contrattuale che si perfeziona con la consegna della somma di denaro al venditore da parte del promissario acquirente e che ha lo scopo di liquidare anticipatamente i danni derivanti dall’inadempimento di uno dei contraenti La caparra confirmatoria ha quindi una duplice funzione:

a) di parziale esecuzione della prestazione; b) di rafforzamento del vincolo contrattuale;

Questo tipo di caparra offre i suoi vantaggi ad entrambe le figure coinvolte, per quel che riguarda l’acquirente è sicuro che, in caso di ritiro dall’affare del venditore, egli potrà ricevere il doppio di quanto versato, per contro il venditore, nel caso fosse l’acquirente a non adempiere ai suoi obblighi, non restituirà la somma ricevuta a titolo di caparra: entrambi però possono rivolgersi al giudice affinché venga rispettato quanto stabilito contrattualmente, nel caso in cui uno dei due soggetti coinvolti nell’accordo dovesse risultare inadempiente. Qualora nel compromesso si parli semplicemente di caparra, si intende con questo termine quella confirmatoria. Mentre la caparra confirmatoria può definirsi come una sanzione contrattuale a carico della parte inadempiente e nel contempo una forma di risarcimento a favore del soggetto adempiente la caparra penitenziale è definita dal codice civile “il corrispettivo del recesso di ciascuna delle parti” (art. 1386 del codice civile). Con questa formula le parti concordano il diritto di recedere dal contratto qualora lo ritengano opportuno, pagando una somma di denaro prestabilita chiamata appunto caparra penitenziale. Quindi se chi recede è l’acquirente perde la somma versato; se invece è il venditore a ritirarsi dall’impegno deve restituire il doppio della somma ricevuta. Null’altro potrà pretendere l’altra parte ne sotto forma di esecuzione specifica del contratto né sotto forma di risarcimento del danno. L’acconto normalmente non è altro che un adempimento parziale preventivo cioè un anticipo sul prezzo finale dell’immobile che deve essere restituito se per qualsiasi motivo non si arriva alla chiusura della compravendita. L’acconto risulta essere quindi la soluzione più semplice e meno impegnativa e nel dubbio sulla effettiva volontà delle parti, l’anticipo versato va proprio considerato come acconto.

Così, come già accennato in precedenza le somme versate con la sottoscrizione della proposta irrevocabile d’acquisto, che possono essere ulteriormente integrate in sede di stipula del preliminare, devono essere considerate, per Giurisprudenza consolidata, come acconto sul prezzo, quali che siano le espressioni utilizzate dalle parti, poiché la natura giuridica e gli effetti della caparra confirmatoria nascono solamente dal preliminare ( che in questi casi si perfeziona, come già detto, nel momento in cui al compratore giunge notizia scritta dell’accettazione da parte del venditore). Di conseguenza in caso di mancata accettazione della proposta irrevocabile d’acquisto, l’agente immobiliare ci dovrà restituire la somma versata senza altre conseguenze. È quindi importante essere estremamente precisi sulla qualificazione della somma che viene corrisposta al promesso venditore al momento della firma della proposta di acquisto e, a maggior ragione, al momento della sottoscrizione del preliminare vero e proprio. Bisogna fare pertanto molta attenzione nel contratto alla scaletta dei pagamenti, e a quale titolo vengono imputate le diverse somme indicate in pagamento. Può capitare che il venditore pretenda oltre ad una caparra confirmatoria anche uno o più acconti sul prezzo, talvolta di importo superiore alla caparra. In questi casi è indispensabile la scissione delle due somme e la specifica di quanto costituisce la caparra e quanto invece l’acconto. Le caparre di solito sono fissate tra il 10-20% del prezzo totale dell’immobile. Quando la caparra supera tale cifra conviene che venga indicata come acconto.